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La sfida da vincere, di Giovanni Fania

L’Italia da cambiare: più lavoro, più salario, meno fisco: è il proponimento con cui la Cisl regionale, accanto a quella nazionale ed in contemporanea con le principali piazze italiane, si mobiliterà da venerdì per chiedere e sostenere il rilancio del Paese in termini di competitività, ma anche di stabilità. Il tema è di quelli veri, sicuramente improcrastinabile, di necessità trasversale come pretendono tutte le vicende sociali ed economiche che appartengono a tutti.

Le cose da fare non sono poche: siamo il secondo sistema manifatturiero in Europa, eppure per competitività ci collochiamo al 20esimo posto, 48esimo se ci riferiamo alla classifica mondiale; siamo 32esimi in Ue per innovazione, 45esimi per i fattori che alimentano l’efficienza e addirittura 46esimi ad esempio per il livello delle istituzioni, delle infrastrutture, dell’educazione primaria.

Siamo, quindi, in presenza di performance che dovrebbero farci riflettere attentamente, soprattutto se si considera che ai risultati tutt’altro che brillanti fanno da contro altare posizioni più che ragguardevoli sul fronte dei manufatti. Come a dire, siamo bravi a fare ciò che facciamo, ma gli altri sono più competitivi di noi e producono di più.

E non va meglio sul fronte dei salari; anzi la situazione è alquanto preoccupante con le nostre retribuzioni – non è purtroppo una novità – tra le più basse dei Paesi Ocse: il salario netto italiano è pari a 21mila 300 dollari, circa 16mila euro, a fronte di una media di 25mila700. A fare meglio di noi non sono solo Gran Bretagna, Francia, Germania – tra l’altro i nostri competitors diretti – ma anche Grecia, Spagna, Austria, per non dire Ungheria e Belgio. Quello che fa maggiormente riflettere è che in tutti questi Paesi la differenza salariale è data dalla minore incidenza fiscale sulle buste paga dei lavoratori. L’onere fiscale sul lavoro medio in Europa è, infatti, del 34,2%, mentre in Italia raggiunge il 42,8%.

Di fronte a questi numeri c’è davvero da rimboccarsi le maniche con senso di responsabilità, la posta in ballo è alta. Lo è anche per la nostra regione che, nonostante su molti indicatori segni buone prestazioni, non è esente da tutta una serie di criticità che frenano sviluppo e crescita. Continuiamo a pagare caro il conto della crisi, come testimoniano i milioni di ore di cig autorizzate anche negli ultimi mesi e soprattutto il fatto che ad una seppur timidissima ripresa non corrisponda un recupero dell’occupazione, che resta a livelli preoccupanti.
Questa mancanza di sviluppo non è senza conseguenze anche di natura "sociale". Si riflette, infatti, sui giovani in cerca di prima occupazione nella nostra regione (oggi ben il 26% non riesce a trovare lavoro, contro il 10% del pre-crisi), ma anche sugli over 45 con tutti i problemi della ricollocazione.

E’ tempo, dunque, di spingere sull’acceleratore anche in Friuli Venezia Giulia: tamponata la crisi con ammortizzatori sociali straordinari, occorre guardare oltre con senso di prospettiva ponendosi l’obiettivo della stabilità e della crescita. Quello che ci vuole è uno scatto di reni, ciascuno faccia la propria parte. Basta macabri balletti sul letto del moribondo; la politica torni se stessa, lucido attore; il Sindacato tutto torni ad essere soggetto di contrattazione e concertazione, e non di antagonismo; non si spostino le vicende sindacali sul piano politico (in regione, la vicenda del Comparto Unico docet), l’attenzione resti ben salda sui problemi reali; la responsabilità venga prima di tutto.

Le ricette per vincere la sfida ci sono. Certo, meglio sarebbe che la spinta trovasse ampia condivisione, partendo da un obiettivo comune, ovvero come conservare nell’era della globalizzazione una qualità dignitosa della vita, investendo sulla ricchezza per dare prospettive alle generazioni future.

Bene, partiamo dunque da quegli strumenti che anche in regione ci sono ma risultano sotto-utilizzati, quelle politiche attive del lavoro che permettano ai giovani, ma anche a coloro che sono stati espulsi dal ciclo produttivo di ri-collocarsi con continuità, esprimendo così se stessi. Interveniamo sul sistema formativo, andando a sanare due gap che penalizzando pesantemente l’intero nostro sistema: la carenza, cioè, di un buon servizio di orientamento che a monte intervenga sulle scelte dei nostro giovani, indirizzandole dove il mercato lo richiede e un matching più attento su domanda e offerta. Resta, infatti, prioritario far incrociare meglio le professioni con le esigenze delle aziende, oggi – anche da noi – letteralmente a caccia di profili introvabili. Partiamo, dunque, da qua, ponendo grande attenzione anche sulle nuove generazioni di lavoratori.

Ritorniamo ad essere competitivi, ad esempio, migliorando e incrementando la produttività, attraverso lo sviluppo del 2° livello di contrattazione, implementando l’efficienza della P.A. anche tramite una razionalizzazione istituzionale, più semplice e accessibile ai cittadini e alle imprese; rafforzando la nostra rete infrastrutturale materiale ed immateriale.

Fare sistema si può, ma occorre che questa regione metta mano al sistema delle riforme strutturali vere qualificando la spesa pubblica: non è più sufficiente cambiare cda e presidenti se le strutture finanziarie e gli strumenti esistenti non vengono messi in moto efficacemente. Il rischio è di continuare a perdere treni importanti e nel contempo di veder crescere le tensioni sociali.

Giovanni Fania
Segretario generale Cisl Friuli Venezia Giulia