Top
 

Comunicati

Cisl FVG > Archivio informativo  > Comunicati  > Pensioni : tagliare oggi o investire per domani?

Pensioni : tagliare oggi o investire per domani?

di Stefano Cattarossi, responsabile Inas Fvg
In questi giorni è tornato di stringente attualità il tema di una ventilata ulteriore riforma del sistema pensionistico.
Per rispondere alle reiterate sollecitazioni che ci vengono dall’Europa sulla necessità di conseguire, appesantiti da un debito pubblico gigantesco e con il contenimento della spesa pubblica, il pareggio di bilancio, taluni ambienti politici ed imprenditoriali vedono nella riduzione della spesa pensionistica il rimedio principe per raggiungere gli obiettivi che ci vengono imposti.
Pare che il nostro Paese, in tema di revisione dei requisiti di accesso alle pensioni, nulla abbia fatto.
Ci si dimentica di tutte le riforme strutturali che, dal 1992 al 2007, si sono via via succedute e che hanno progressivamente inasprito i requisiti per accedere ai pensionamenti, ridisegnando anche i meccanismi che ne regolano il rendimento, garantendo non indifferenti e sofferti risparmi .
Non vogliamo in questa sede porre la nostra attenzione sui dichiarati “ privilegi” di cui sono portatori i lavoratori che sono prossimi al conseguimento del diritto a pensione.
Non ci pare, però, intellettualmente onesto sentir dire che andare in pensione a 60 anni d’età, con 36 di contributi, oppure con 40 anni di versamenti, indipendentemente dall’età anagrafica ( citiamo i requisiti vigenti per l’anno 2011 per i lavoratori dipendenti) e conseguire il materiale pagamento della prestazione solo dopo un anno dalla maturazione dei requisiti richiesti sia cosa scandalosa.
Le recenti manovre di assestamento poi, hanno ulteriormente differito i termini di accesso al pensionamento anticipato, sulla base dei parametri che fotografano l’aspettativa di vita.
Ci interessa invece denunciare, a distanza di quasi 15 anni dalla sua approvazione, la non compiuta applicazione della Riforma Dini.
L’adesione alla Previdenza Complementare, quantomai necessaria per implementare la pochezza della pensione pubblica, è ancora oggi residuale.
Preoccupano, poi, le recenti estemporanee esternazioni di Ministri della Repubblica che propongono di conferire il TFR dei lavoratori in busta paga per aumentarne la capacità reddituale e di spesa, dimenticando che il trattamento di fine rapporto dovrebbe essere investito nei Fondi Pensione.
Riteniamo, al contrario, che la Riforma Dini debba essere portata a compimento, introducendo dei meccanismi di minore flessibilità nella scelta che dovranno fare i lavoratori in tema di conferimento del TFR alla Previdenza Complementare.
Serviranno, poi, ulteriori e più appetibili sgravi fiscali per le quote di salario da destinare ai Fondi Pensione.
Non farlo ci porterebbe tra qualche anno a dover prendere coscienza del fatto che abbiamo contribuito a costruire un sistema previdenziale che garantirà ai futuri pensionati rendimenti al limite della soglia di indigenza.
Pensionati che saranno i nostri figli e nipoti, ai quali non possiamo, così come abbiamo fatto per il debito pubblico, consegnare ulteriori ed insostenibili carichi di povertà
Ci preoccupa pertanto di più la non compiuta applicazione della Riforma Dini che, nella sua attuazione, necessita di alcuni correttivi che ne limitino le evidenti storture ed iniquità, oggi già in essere.
Pensiamo, giusto per esemplificare, tralasciando altre criticità che sarebbero degne di nota, agli assicurati che muoiono in giovane età e che non hanno avuto il tempo materiale di accantonare e trasferire ai propri figli un trattamento previdenziale degno di tale nome.
A nostro avviso, in tale ricorrenza, al figlio superstite andrà garantito, anche nel sistema contributivo, il concorso dell’integrazione al trattamento minimo.
Possiamo anche condividere che in un sistema pensionistico a capitalizzazione l’integrazione al trattamento minimo non abbia più ragione di esistere, a condizione, però, che l’assicurato abbia avuto un lasso di tempo congruo per costruirsi il proprio accantonamento.
Se l’assicurato muore in costanza di rapporto di lavoro dopo avere versato almeno 5 anni di contribuzione, trasferisce ai suoi superstiti il diritto alla pensione di reversibilità
Va da sé che la pensione capitalizzata da questo lavoratore, anche nel caso in cui, responsabilmente, abbia da subito aderito alla Previdenza Complementare, non potrà che essere di modestissima entità.
Quale tutela previdenziale potrà trasferire ai propri figli?
E’ degna di un paese civile una regolamentazione che prevede che, a parità di contribuzione versata, il figlio di un assicurato che ha iniziato a lavorare anteriormente al 1996, abbia titolo a percepire un trattamento pensionistico pari al minimo di legge ( 467,00 euro a Gennaio 2011) nel mentre, al figlio superstite di chi si è occupato successivamente al Dicembre 1995, lo Stato riconosca in quota parte il mero importo di pensione accantonato dal dante causa, senza alcun fattivo ulteriore contributo da parte dello Stato, con trattamenti pensionistici il più delle volte al di sotto dei 100 euro?
In questo caso vengono garantiti e assicurati “ mezzi adeguati alle esigenze di vita”, così come previsto dall’art.38 della Carta Costituzionale?
La domanda, ovviamente, è retorica.
Oggi questi casi, pur sporadici, già esistono, ma non hanno voce.
In futuro saranno non l’eccezione, ma la regola.
Le risorse necessarie per reintrodurre il concorso dell’integrazione al trattamento minimo, data la casistica non oltremodo ricorrente della tipologia rappresentata, non dovrebbero essere di entità tale da non poter essere reperite, magari con l’introduzione di un contributo di solidarietà da porre a carico dei “ già garantiti”.
Ben venga quindi il dibattito sulla Previdenza; portando però prima di tutto a compimento le riforme già attuate, apportando, ove necessario, i dovuti correttivi.
Rivedere le regole in capo ai futuri pensionandi porterebbe indubbiamente dei risparmi immediati .
Crediamo, però, che sia più ambizioso e responsabile uscire dalla logica del contingente, cominciando con la dovuta serietà a pensare al futuro dei nostri figli, sui quali non possiamo continuare a scaricare le nostre titubanze e miopie.