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ECONOMIA REGIONALE RINSECCHITA, SERVE UNA NUOVA CURA

Intervento del Segretario Generale Cisl Fvg, Alberto Monticco, pubblicato sul Messaggero Veneto.

L’evoluzione del reddito prodotto dall’economia – nel 2019 si stima una crescita del Pil italiano e regionale al di sotto dell’1% – è una cartina di tornasole dell’eredità con la quale la politica del Friuli Venezia Giulia deve fare i conti.

Nel decennio 2008/2016, l’economia provinciale di Trieste è cresciuta in termini reali dell’1,4%, mentre quella goriziana, pordenonese e udinese è calata rispettivamente del 5,9%, del 6,4%, e del 17,3%. Considerando i soli segmenti del manifatturiero e dell’edilizia, si è registrata un ridimensionamento addirittura attorno al 14% (Pordenone) e 20% (Udine). Parliamo complessivamente di oltre 3.400 imprese perse a livello regionale, a cui va sommato il pesante calo dell’export registrato proprio mentre il NordEst si assestava all’11,6%.

E’ evidente che tale eredità obbliga oggi a trovare urgenti soluzioni in particolare per l’area produttiva friulana, ponendo rimedio alla forte flessione patita dal settore industriale. Ne va, infatti, dell’indispensabile equilibrio tra le dimensioni dell’economia e quelle del sistema di Welfare, a meno che non si pensi ad un drastico taglio nell’erogazione dei servizi pubblici alla popolazione e alle imprese.

Non deve, inoltre, trarre in inganno la crescita degli occupati nell’ultimo biennio garantita dalla distribuzione della minore quantità di lavoro tra più lavoratori precari (a part/time, a chiamata, ecc.).

Non è un caso, dunque, se negli ultimi anni l’area friulana sta perdendo popolazione: non siamo più attraenti per gli stranieri e il lavoro povero e precario sospinge all’estero una parte crescente dei nostri giovani (e anche di giovani pensionati che vogliono sostenere il loro potere di acquisto). Questo, mentre abbiamo uno stock di lavoratori inutilizzati (disoccupati, scoraggiati, sospesi) che attualmente sfiora le 90mila unità ma che a fronte delle prospettive poco allegre potrebbe risalire sopra le 100mila unità come accaduto nel 2013 e 2014.

Va aggiunto che la riforma della cassa integrazione del 2015, che aveva scommesso su una più rapida ripresa economica e su una più veloce attuazione della riforma delle politiche attive, è oggi messa alla prova da una realtà dei fatti molto diversa nei suoi esiti.

Già, quelle politiche attive, ancora soltanto abbozzate, malgrado da anni segnaliamo la necessità di rafforzare i Centri Per l’Impiego per offrire un reale sostegno a tutte le persone in cerca di occupazione (e non soltanto ai beneficiari del Reddito di Cittadinanza), limitando il rapporto utente/operatore, oggi troppo alto (per fare un esempio, nel 2016, i 118.200 operatori nei Centri in Germania assistevano 28 disoccupati ciascuno, mentre i 7.250 operatori italiani ne assistevano 484). Anche per questo motivo è importante coinvolgere le parti sociali e la contrattazione come strumento di riferimento e sostegno.

La priorità, dunque, è rimpinguare la rinsecchita economia regionale in particolare perseguendo l’unico obiettivo capace di ottenere tale risultato, vale a dire la crescita delle opportunità di lavoro e dell’occupazione anche giovanile posto che dal 2008 ad oggi gli occupati compresi tra i 15 ed i 34 anni sono calati di oltre il 30%. Dato che la dice lunga sulla necessità di recuperare popolazione in età lavorativa sia per le prospettive economiche e lavorative che per compensare la futura esplosione degli anziani residenti.

Certo è che per rilanciare l’economia e quindi creare nuovi posti di lavoro, serve un sistema regionale che, al di là dello status di “specialità”, sia competitivo almeno con l’ordinarietà, partendo dalle infrastrutture, oggi inadeguate, e dall’alleggerimento della burocrazia, il cui peso è il più alto del NordEst.

Se vogliamo immaginare una società orientata sull’industria 4.0, su un futuro di innovazione e digitalizzazione, non possiamo programmare una finanziaria che taglia le risorse per le imprese già proiettate in questa direzione, e soprattutto la formazione. Dovremmo, invece, prendere concretamente atto che scuola ed imprese oggi non sono capaci di dialogare e che certo non aiutano gli incomprensibili tagli ai progetti di alternanza scuola-lavoro.

Abbiamo, in generale, bisogno di idee e di proposte che guardino allo sviluppo sostenibile, che non demonizzino la globalizzazione e che spingano per la realizzazione di un’Europa più unita e socialmente solidale, capace di prendersi cura dei problemi della ripresa demografica, del lavoro e della formazione e cultura, contrastando povertà educativa, precarietà esasperate, marginalizzazioni.

Guardando a queste priorità, Cgil, Cisl e Uil nazionali hanno elaborato una propria piattaforma, un vero e proprio programma sociale incentrato su alcune priorità e su un’idea di crescita, che viene offerta al dibattito, consapevoli dell’emergenza in cui versa il nostro Paese, Friuli Venezia Giulia compreso.