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METALMECCANICA, NON CI SONO SEGNALI DI RIPRESA

Da Il Gazzettino Metalmeccanica dell’Udinese e della Bassa Friulana: dall’inizio della crisi, quindi da quattro anni a questa parte, non ci sono segnali di ripresa. Anzi: la recessione non ha portato che a un peggioramento, con aumento dei lavoratori rimasti senza occupazione e tra le 3300 e le 3500 persone attualmente in cassa integrazione; 21 le fabbriche chiuse definitivamente. «Le previsioni per il 2013? Non sono buone». A un giorno dal primo congresso della Fim-Cisl della Provincia di Udine, che si terrà domani e venerdì all’hotel Belvedere di Tricesimo, il segretario della Fim-Cisl Udine e Bassa, Sergio Drescig, ripercorre le tappe della crisi che hanno visto sfortunata protagonista anche l’industria metalmeccanica di quest’area. «Un dato su tutti: il nostro operato, in questo lasso di tempo, si è concentrato per l’80% sulla gestione dell’emergenza. Per il nuovo anno i dati di previsione sono pessimi: si parla di una sorta di stabilizzazione solo nel secondo semestre del 2014 e si tratta comunque di una previsione azzardata, poiché ormai, si naviga a vista e lo scenario può mutare in ogni momento. Indicazioni del tutti simili emergono parlando con gli stessi addetti commerciali delle imprese che non riescono a intravvedere un futuro di ripresa. Viviamo tempi segnati da enormi difficoltà che continuano a peggiorare. Basta pensare ai dati Inps del gennaio 2013 in termini di ore di ammortizzatori sociali utilizzati: quello che è da poco terminato è stato il peggiore mese dall’inizio della crisi. Se la tendenza non si inverte rischiamo concretamente di veder trasformate le posizioni di 3500 persone oggi cassaintegrate in uomini e donne senza più un lavoro, né supporto economico. Una bomba sociale». Cosa fare? «Come Fim-Cisl abbiamo fatto una serie proposte: più investimento su ricerca e sviluppo, maggiore collaborazione tra aziende e università, aggregazione delle piccole e medie imprese, investimenti sulla professionalità dei lavoratori. E, poi, ci vuole un piano industriale, supportato dalla politica regionale; un piano che tracci delle linee guida precise e indichi con chiarezza dove e come investire, in quali comparti, per risollevare un settore che è strategico». Che fare per allentare la stretta creditizia? «In questi anni di crisi, il rapporto con le istituzioni nella gestione delle vertenze più importanti non ha portato a frutti positivi: la sensazione è che gli Enti siano impotenti, che non abbiamo gli strumenti giusti per poter intervenire. Ci fa arrabbiare l’aspetto del credito, che non fa più credito: le finanziarie della nostra Regione non stanno facendo più il loro mestiere, cioè quello di supportare le aziende. Si stanno comportando come delle vere e proprie banche». Quali sono, oggi, le vertenze che preoccupano maggiormente il sindacato? «Abs da una parte, per la salvaguardia di 1200 dipendenti diretti e altrettanti nell’indotto, con un incremento di 300 unità a ultimazione dell’elettrodotto. La nostra azione mira a evitare la delocalizzazione della produzione. Altra questione delicatissima la Mangiarotti, su cui da un mese è calato un silenzio assordante: chiederemo un incontro alla proprietà da fissare entro fine febbraio».

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