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FRIULI VENEZIA GIULIA, TORNA L’INCUBO CRISI

Situazione da bollino rosso per le aziende del Friuli Venezia Giulia. Stando ad un monitoraggio della Cisl Fvg su un campione di 80 realtà industriali sindacalizzate della regione, 10mila 149 lavoratori risultano interessati da percorsi di crisi. Un numero da far tremare i polsi se si considera che i lavoratori totali occupati nelle medesime aziende ammonta a 11mila 553. Vale a dire che solo poco più di mille occupati stanno schivando gli ammortizzatori sociali o gli altri strumenti di crisi attivati dalle imprese. Se poi si confronta il dato con quello rilevato a luglio scorso, quindi in periodo pre Covid, la situazione risulta ancora più allarmante. Dalla mappatura del 2019, condotta su 81 aziende, risultavano 7mila 698 lavoratori “in crisi” su un totale di 12mila 165 addetti.

A pagare il conto più alto, probabilmente frutto dell’incertezza generata dalla pandemia, sono le aziende metalmeccaniche del Friuli Venezia Giulia, che registrano oltre 6mila230 lavoratori in difficoltà, numero pressoché raddoppiato dall’anno scorso. Seguono a distanza (accorpati secondo i criteri della categoria cislina che li segue) gli addetti del comparto comunicazioni, telecomunicazioni, cartiere e grafica (1.909), della chimica (1.182), dell’agroalimentare (625), della logistica e dei trasporti (127). Unico segnale in controtendenza quello del settore del legno-edilizia, che, a differenza del precedente monitoraggio, non segnala situazioni di crisi, ad eccezione della Colombin, fallita di recente.

“Certamente si tratta di dati assolutamente parziali, ma pur significativi. Pur se è vero che abbiamo alcune proiezioni incoraggianti dal settore edile, segno che gli incentivi previsti hanno funzionato, restiamo molto preoccupati per il numero potenziale dei lavoratori coinvolti in regione da percorsi di crisi, che vanno dagli ammortizzatori sociali tradizionali al licenziamento. Già nel periodo pre-Covid avevamo un numero importante di persone a rischio lavoro: sommando i lavoratori già sotto ammortizzatore sociale, con quelli potenzialmente a rischio e con i neet, contavamo attorno alle 90mila unità. Oggi rischiamo di tornare a quelli livelli, se non sapremo attivare subito strumenti efficaci e di medio-lungo periodo, superando la logica di tamponare crisi per crisi, in favore di una stratega complessiva e non solo emergenziale. C’è poi a scongiurare un nuovo lockdown che porterebbe il sistema al collasso. Per questo noi continuiamo a lavorare sul fronte della sicurezza nelle fabbriche e nei posti di lavoro, confermando la strada intrapresa a marzo scorso con la firma del protocollo regionale sulla sicurezza, che, ad oggi, si è rivelato una scelta vincente visti i rarissimi casi di contagio all’interno delle aziende” – commenta il segretario generale della Cisl Fvg, Alberto Monticco.

Quanto alla diffusione della crisi, non c’è territorio esente, con la provincia di Udine che, però, registra le punte più alte con 33 aziende su 80 in crisi.

Crisi determinate da cause diverse, ma in particolare da difficoltà del settore di riferimenti (24), dalla mancanza di ordinativi (23) e da ragioni di tipo finanziario/produttivo (16), mentre, a differenza dello scorso anno, risultano in netto calo le crisi di liquidità.

Rispetto agli strumenti di crisi attivati, a farla da padrone è la cassa integrazione ordinaria (48 aziende), il doppio rispetto all’indagine di luglio scorso.

“Nella logica di guardare avanti attivamente e non solo di certificare le crisi e difficoltà in atto, mercoledì 7 ci confronteremo a San Vito al Tagliamento con il governatore Massimiliano Fedriga, il presidente di Confindustria Alto Adriatico, Michelangelo Agrusti, il sottosegretario al Mef, Pierpaolo Baretta e il segretario nazionale aggiunto della Cisl, Luigi Sbarra. “L’intento è quello di capire assieme, attraverso una prima tavola rotonda, come cambiare rotta e invertire un trend allarmante. Non ci interessa solo certificare le crisi, ma ci preme soprattutto pensare a degli strumenti efficaci per superarle. Sarebbe infatti un errore rifare come nel 2008 e nel 2018, quando si è spesa un’ingente massa di denaro sugli ammortizzatori, senza però impedire di fatto la chiusura di molte aziende” – conclude Monticco.