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E se la residenza fosse solo un pretesto?

E’ di pochi giorni fa l’annuncio da parte del Ministro degli interni  Roberto Maroni e del Ministro del Welfare Maurizio Sacconi, dell’intenzione di varare un provvedimento che introduca il permesso di soggiorno a punti, un vero percorso ad ostacoli per gli immigrati, che avrà l’obiettivo al loro dire di favorire l’integrazione. La crociata del Ministro Maroni si sa, è contro l’immigrazione clandestina, peccato però che tutti gli ultimi provvedimenti in tema di immigrazione vanno a colpire pesantemente anche gli immigrati regolari.
Se a livello nazionale le cose si mettono cosi male, il livello regionale per non essere da meno prende di mira gli immigrati, ma anche i comunitari e gli stessi italiani. Dallo scorso ottobre, la Regione FVG ha varato la legge per la “valorizzazione” della residenza e dell’attività lavorativa in Italia e in regione nell’accesso dei servizi dello stato sociale (la legge n.18 del 15/10/2009). Niente di scandaloso, si penserebbe sennò che la legge con il pretesto del criterio di residenza introduce una limitazione agli immigrati nell’accesso dei servizi dello stato sociale, costituendo di fatto una discriminazione indiretta. Si va dal requisito minimo di un anno di residenza per l’accesso ai servizi per la prima infanzia, al requisito di 5 anni per quello che riguarda il diritto allo studio, agli 8 anni per la carta famiglia fino ai 10 anni richiesti per l’accesso agli interventi di edilizia convenzionata.

Per non fare “discriminazioni” nel tentativo di evidenziare il carattere generale della norma, la Regione ha pensato bene di accomunare, comunitari, extracomunitari ed italiani nelle limitazioni. La legge prevede soltanto una serie di deroghe “per i corregionali all’estero, per il loro discendenti che abbiano ristabilito la residenza in regione nonché per coloro che prestano servizio presso le forze armate e le forze di polizia”. Questo articolo della legge crea di fatto una situazione paradossale: per esempio, un cittadino italiano originario della Calabria che ha sempre vissuto in Italia e che ha sempre pagato le tasse,  che si trasferisce in FVG da meno di un anno verrebbe escluso dall’accesso alle prestazioni, mentre il discendente di un corregionale appena sbarcato dal Canada potrebbe tranquillamente il giorno dopo aver ristabilito la residenza in regione aver accesso a tutti i servizi sociali.

Di fronte a questa discriminazione manifesta, CGIL, CISL e UIL hanno deciso di appoggiare una serie di casi pilota al fine di rendere inefficace la legge regionale e mettendo fine alle discriminazioni. Le organizzazioni sindacali, invitano pertanto tutti i cittadini italiani, comunitari e extracomunitari, che si trovassero nella situazione di vedersi negare i benefici sociali per la mancanza del requisito della residenza di rivolgersi ai patronati e uffici sindacali per il patrocinio legale.

Lydie Coulibaly
Segreteria Cisl Gorizia