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MONTAGNA: RIPARTIRE DA VOCAZIONI DEL TERRITORIO

La montagna del Friuli Venezia Giulia deve ripartire dalle specificità del territorio: per questo serve, secondo la Cisl Fvg, una strategia forte che oggi manca da parte della Regione. Il rischio è quello di marginalizzare ancor di più il comprensorio montano.

Una strategia d’insieme fatta di azioni concrete che tengano conto ed intervengano sulle specificità della montagna del Friuli Venezia Giulia. A chiederle con forza è la Cisl Fvg, preoccupata per il sostanziale silenzio della Regione rispetto ad un tema portante come quello della valorizzazione delle aree montane. “Al netto della proposta sulla ristrutturazione degli immobili, ci chiediamo se esista un progetto complessivo, una visione di prospettiva” – incalza il segretario Franco Colautti, appellandosi direttamente al presidente Fedriga, ad oggi titolare della delega. “Ci piacerebbe – prosegue il segretario cislino – che venisse aperto quanto prima un ragionamento sulla montagna, partendo dalle vocazioni dei vari comprensori”. Vocazioni analizzate in uno studio inedito della stessa Cisl Fvg e dal quale emergono diversi punti chiave. “Guardando alle sei Uti montane – commenta Colautti – appare subito chiaro che, all’interno della regione, esistono diverse montagne, sulle quali necessariamente si dovrà intervenire con strumenti differenziati”. Se, infatti, in Alto Friuli, come dimostrano le assunzioni per settore produttivo nel 2017, a dominare è il terziario (42,1%), nelle altre Uti le vocazioni primarie appaiono completamente diverse: turismo (alberghi e ristoranti) nel Canal del Ferro e Val Canale (37,5%), manifatturiero ed estrazioni in Carnia (25,7%) e nelle Dolomiti friulane (27,2%), dove, però, esiste anche una fortissima componente legata all’agricoltura (21,4%); agricoltura anche per la zona del Natisone (21,7%) e del Torre (19,1%), dove, inoltre, si registra la più alta, rispetto alle Uti montane, concentrazione di assunzioni nel comparto delle costruzioni (5,1%). “Per quanto ci riguarda spiega ancora Colautti, dati alla mano – è necessario non solo rafforzare le vocazioni radicate delle varie aree, ma anche potenziare quelle emergenti: così, ad esempio, quella manifatturiera per quanto riguarda l’Alto Friuli o il terziario nelle Valli del Natisone e del Torre” (si vedano tabelle). Senza contare la fondamentale componente del turismo, che dovrebbe essere un asse portante dell’economia montana, ma che sconta ancora troppi deficit e sul quale un ruolo attivo di gestione e promozione dovrà – secondo la Cisl Fvg – essere consegnato alla nuova dirigenza di Promoturismo. Ben al di sotto della performance del 37,5% di assunzioni nelle strutture ricettive della Val Canale e Canal del Ferro, si trovano, infatti, le altre Uti montane: per esempio, la Carnia ferma al 20,2% e le Dolomiti friulane addirittura sotto al 10% (si vedano tabelle). “I punti di forza e di debolezza della nostra montagna vanno considerati attentamente per elaborare strategie di intervento: altrimenti il rischio è quello di ghettizzare ancor di più territori già di per sé strutturalmente difficili” – commenta Colautti, spostando l’attenzione proprio sulle dinamiche del mercato del lavoro locale. Da un confronto tra il primo semestre del 2017 e del 2018 appare chiara l’urgenza di un’azione strutturale. Se da una parte, è vero che nel periodo considerato, le assunzioni sono aumentate dell’11,6% (+1.466 unità), dall’altra parte, il saldo tra assunzioni e cessazioni, pur se ancora positivo, nel 2018 appare in flessione rispetto ai primi sei mesi del 2017, passando da 2.431 al 2.124. “Tuttavia – spiega ancora il sindacalista cislino – il problema vero non è la quantità dei rapporti di lavoro, ma la qualità degli stessi: a ben guardare, infatti, le tipologie  di contratto di assunzione più “stabili” sono in flessione, soprattutto per quanto riguarda i tempi determinati (-5%, ad esempio, in Carnia) e indeterminati (così, sempre a titolo esemplificativo, il -2,6% nella Canal del Ferro e Val Canale) (si veda tabella). “Il discorso – commenta Colautti – è assolutamente complesso ed è per questo che chiediamo alla Regione di avviare un ragionamento ad ampio raggio sulla montagna, abbandonando anche i facili slogan”. A partire anche da quelli sull’immigrazione, che risulta un fattore fondamentale per il territorio. Deve far riflettere – si legge nella nota cislina – che le assunzioni sostanzialmente stanno crescendo soprattutto per quanto riguarda i lavoratori provenienti da altri Paesi europei, con punte significative nelle Dolomiti Friulane, dove sono in aumento anche le assunzioni di persone extra Ue, impiegate non solo nel Maniaghese, ma specialmente in agricoltura, il comparto di gran lunga più rappresentativo (si vedano tabelle). Infine, come Cisl da tempo abbiamo segnalato la necessità che, in particolare per queste aree, vi fosse coerenza tra i vari ambiti programmatori e gestionali: distretti, ambiti socio sanitari, UTI, Istituti Comprensivi, ecc..Necessità che ribadiamo al legislatore regionale che sta mettendo mano sia all’assetto del sistema sanitario che a quello delle autonomie locali. L’occasione di riaprire il ragionamento anche sull’autonomia della scuola rappresenta, in tal senso, un’altra opportunità esiziale: il calo delle nascite, che interessa pesantemente l’intero territorio regionale, ma che per le aree montane rappresenta un ulteriore elemento di criticità, assieme alla migrazione verso la pianura, metterà in crisi l’intero sistema di formazione delle classi e di distribuzione delle strutture scolastiche. Un tema che va affrontato con urgenza.