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Fim Udine: Cbs di Varmo, pronti a sit-in. 90 posti a rischio

La Cbs di Varmo è in liquidazione. In Confindustria era stato siglato l’accordo con due imprenditori per salvare l’azienda
«La burocrazia rischia di far saltare tutto»

Manca l’ok del Tribunale: 90 rischiano il posto

La Fim-Cisl: Pronti a un sit-in di protesta per ottenere l’ammissione al concordato

 

di CRISTIAN RIGO

Prima la cassa integrazione che non arrivava mai perché mancava l’approvazione del Ministero, poi i ritardi nell’ammissione al concordato preventivo che potrebbe salvare 90 posti di lavoro. Una doppia beffa per i dipendenti della Cbs di Varmo che insieme alla crisi si trovano a dover fare i conti anche con la burocrazia. Ecco perché la Fim-Cisl è pronta a una nuova manifestazione di protesta. E questa volta nel mirino non ci sono imprenditori che delocalizzano, ma il Tribunale di Udine.

«Il 6 settembre – racconta Giorgio Spelat della Cisl –, nella sede della Confindustria, abbiamo raggiunto un importante accordo per ridare speranza ai dipendenti della Cbs che al momento si trova in liquidazione. Dopo aver individuato una coppia di imprenditori monfalconesi interessati a subentrare nell’attività, abbiamo trovato un’intesa con i liquidatori per arrivare a un concordato e successivamente all’affitto d’azienda. Peccato che – sottolinea – dal tribunale di Udine non è ancora arrivata l’ammissione al concordato preventivo». E così la situazione rischia di precipitare di nuovo.

«Gli imprenditori Cusani e Menichelli mi hanno già fatto sapere che non possono aspettare in eterno e – aggiunge – se a breve non ci saranno novità rinunceranno all’operazione di affitto e acquisto dell’azienda. Una’ipotesi che non voglio nemmeno prendere in considerazione. In ballo c’è il futuro di 90 famiglie e in un contesto difficile come questo sarebbe assurdo perdere questa opportunità». Da qui la decisione del sindacato di scendere in piazza, ma non in una piazza qualunque. «Andremo davanti alla sede del tribunale – annuncia – fino a quando non ci daranno garanzie sulla soluzione del problema. Le istituzioni dovrebbero attivarsi per evitare che la lentezza della burocrazia vanifichi tutti gli sforzi fatti per salvare un’importante azienda del Friuli».

L’azienda, specializzata nella produzione, lavorazione e relativo commercio di componenti in rame, ottone, ferro e acciaio ed inox per la climatizzazione, refrigerazione e riscaldamento, fino a poco tempo fa contava 130 dipendenti. Fondata nel 1982 da Luciano Ciuto, ha accusato un calo drastico di fatturato tra il 2008 e il 2009 con perdite vicine ai 3 milioni di euro. «A pagare il conto però – dice Spelat – non possono essere sempre i lavoratori. Per questo motivo continueremo in ogni sede e con ogni mezzo a difendere il diritto al lavoro e alla dignità di ogni persona». E dire che una soluzione i sindacati l’avevano pure trovata.

L’accordo raggiunto in Confindustria tra Ciuto, gli imprenditori monfalconesi e i commissari liquidatori Adino Cisilino e Renzo di Natale prevede infatti il passaggio diretto di circa una quarantina di lavoratori nella nuova realtà Cbs est srl e l’impegno a ricollocare entro 12 mesi anche gli altri 50 lavoratori.

Una soluzione che, come detto, rischia di saltare. «L’auspicio è che l’allarme rientri e che tutto si risolva come è accaduto anche con la cassa integrazione straordinaria – dice Spelat –. È stata concessa il 12 aprile, ma fino al 20 settembre non era stata approvata dal Ministero e così i lavoratori sono rimasti senza paga per quasi 5 mesi».

«Serve un piano per il rilancio»

Dopo la cassa integrazione il vuoto. Niente piano per rilanciare l’economica, niente idee per creare occupazione e niente assessorato all’industria. Che, a detta della Cisl, servirebbe eccome. Ecco perché il sindaco punta il dito contro la Regione e denuncia il rischio di un’impennata dalla disoccupazione. «La verità è che la Regione si è limitata a tamponare le situazioni di crisi sfruttando lo strumento dell’ammortizzatore sociale, ma – dice Giorgio Spelat – della Fim-Cisl – quando la cassa integrazione finisce i nodi vengono al pettine e se nel frattempo non è stato fatto nulla per tutelare l’occupazione, da cassa integrati i lavoratori diventano disoccupati».
E le famiglie in difficoltà secondo la Cisl sono sempre di più. Così come le aziende. L’ultimo caso monitorato con grande preoccupazione dai sindacati è quello della Tps-hydro che produce impianti idraulici e termoidraulici a Lauzacco nel comune di Pavia di Udine. «Lì – riferisce Spelat – ci sono 50 lavoratori che si trovano in cassa integrazione straordinaria e ancora mancano prospettive certe per il futuro. La verità è che servirebbe un assessorato regionale all’Industria e anche un piano complessivo di rilancio dell’economia. Senza è difficile immaginare una vita di uscita a questa crisi tutelando l’occupazione».

(dal Messaggero Veneto di Udine di domenica 17 ottobre 2010)