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American Standard: il rilancio del gruppo in Italia costruito su relazioni sindacali concrete e trasparenti ma con forti ripercussioni sull’occupazione

di Franco RIZZO, Segretario Generale Femca Cisl Pordenone
Pn, 27 marzo 2008

Le turbolenze che da tempo imperversano  sui mercati nazionali ed internazionali, l’acutizzarsi delle  tensioni sui prezzi di vendita per l’immissione di produzioni a minor costo soprattutto nei segmenti economy, l’inserimento di nuovi competitors  e l’altalenate congiuntura economica hanno di fatto  modificato lo scenario competitivo del settore ceramico e quindi peggiorato il posizionamento commerciale delle realtà produttive che operano da tempo nel nostro territorio. Da qualche anno quindi anche il gruppo American Standard, azienda leader nel settore ceramico- sanitario, si trova a dover fare i conti con dinamiche del tutto imprevedibili e che hanno richiesto, per ragioni di competitività,  importanti interventi di ristrutturazione ma anche   processi   di riassetto produttivo e organizzativo  che ha reso improcrastinabili e necessarie azioni per una più incisiva progettualità nelle aree dello sviluppo nuovi prodotti, delle strutture di fabbrica, e delle funzioni di supporto/assistenza alla vendita.

Abbiamo condiviso la logica  del rilancio del gruppo, ed in modo particolare della sua  compagnia italiana,  realizzando accordi che il sindacato considera di “garanzia”, in quanto tesi  a salvaguardare i siti produttivi, i volumi e l’occupazione anche  attraverso importanti investimenti. Dentro questi accordi viene valorizzata l’importanza ed il ruolo dello stabilimento pordenonese all’interno del quale sono insediati il centro di Ricerca e Sviluppo europeo del settore wellness e il centro di eccellenza del ceramico-sanitario che conferisce allo stabilimento il riconoscimento di polo strategico di American Standard in Italia e in Europa.

Naturalmente il riposizionamento del gruppo non è avvenuto senza conseguenze e le azioni messe in atto da America Standard  hanno comportato forti ripercussioni sul versante occupazionale, anche sé la gestione di tutte le problematiche si è collocata (anzi, ne è stato il presupposto) in un quadro di relazioni sindacali concreto e trasparente, impostato sulla credibilità reciproca tra le parti. Tuttavia il prezzo più alto è stato pagato dai lavoratori dalla compagnia italiana che, nell’arco di una fase temporale neanche tanto lunga, ha visto chiudere ben tre stabilimenti: uno al nord (Pordenone), uno al centro (Siena) e uno al sud (Salerno) per un totale di oltre 500 lavoratori soppressi. Nel computo dei 500 ci sono i circa 150 dello stabilimento Dolomite di Pordenone accorpati, solo in teoria, allo stabilimento di Orcenico.

Oggi la compagnia italiana impiega circa 2 mila addetti nei cinque stabilimenti di Brescia, Orcenico, Roccasecca (Frosinone), Gozzano (Novara) e Trichina (Belluno). Il gruppo è leader assoluto in Italia per il segmento ceramica con una quota di mercato del 44%( pari a circa 3,5 milioni di pezzi) e un fatturato che si avvicina ai 300 milioni contribuendo con un peso importante al bilancio del gruppo.

Pur tuttavia non mancano le novità. E’ della settimana scorsa la comunicazione della direzione circa la necessità di  rallentare la produzione, attraverso un fermo produttivo di due settimane. La cassa integrazione, questa la soluzione individuata dall’azienda, vede coinvolto non solo lo stabilimento di Orcenico ma l’intera compagnia italiana per un periodo che va dal 17 al 28 marzo.

Una posizione  che il sindacato e i lavoratori  guardano con molta attenzione e preoccupazione, anche perché decisa a ridosso di una serie di incontri a livello nazionale dove, con l’ultimo accordo siglato sulla logistica, pareva chiusa la lunga  fase di transizione.

Allora il mantenimento dei volumi produttivi, definiti in fase di coordinamento nazionale, è l’elemento su cui  il sindacato e i lavoratori misureranno  l’affidabilità del management e, di conseguenza, la qualità delle relazioni sindacali, grazie alle quali è stato possibile realizzare gli accordi citati. Ciò che succederà in seguito, nel rapporto con il sindacato,  dipenderà quindi esclusivamente dai comportamenti e dalle scelte aziendali, sapendo che i lavoratori della compagnia italiana hanno già abbondantemente dato e a loro non è più possibile chiedere nulla.

Presentarsi dopo qualche settimana, delineando altri scenari produttivi e industriali, rischierebbe di minare la credibilità dei confronti sindacali; un gruppo appena acquisito da un Fondo Finanziario Internazionale non può sbandierare bollettini di guerra a piè sospinto ogni settimana. Ci riflettano lor signori, i lavoratori potrebbero perdere la pazienza.